SUPREME DICKS
recensioni


SUPREME DICKS


I Supreme Dicks fanno parte di quel genere incatalogabile come la loro musica. Prendono in prestito da tanti generi trovate surreali e realizzano pieces stralunate ed eccentriche.


Il punto di partenza, probabilmente, dovrebbe essere ricercato nei sommi geni del caos: i Pere Ubu di David Thomas, ma anche nel sound randagio di Tom Waits. Il lato più eccentrico è forse dato dalla loro capacità di suonare con strumentazioni classicheggianti opere di pura avanguardia, senza indulgere in manierismi sonori.


Unexamined Life è disco avvicinabile allo slo-core, ma è ancor più scarno, abulico, notturno. Una veglia, se vogliamo, un album onirico. The Arabian Song, col suo trionfo di fiati, è l’inno di una sconfitta esistenziale, The Sun’s Bells ha inizio con accordi di chitarra al rallentatore, che potrebbero finanche richiamare alla mente i Red House Painters, ma poi progredisce nella sua struttura in maniera persino manierata, con un crescendo quasi raga, in un diluvio di distorsioni assortite.


Jack Smith è assai più avvicinabile ad un folk casereccio, ma molto più sofferto, mentre The Forest Song sembra un acquerello medioevale dei Genesis prima maniera. Brani come Fallout Song, River Song, Hyacinth Girls, Azure Dome (quest’ultima più ricca di suoni, più suite che canzone) potrebbero richiamare alla mente Smog (e di conseguenza i Velvet Underground) per quell’uso quasi tribale della batteria, per quel canto impacciato. I Supreme Dick si rivelano principalmente come i maestri di un sound che è allo stesso tempo complesso e tradizionale. Potrebbe essere, in base alla strumentazione, folk, ma si rivela qualcosa d’altro. Prova ne sia che non citano nella loro struttura, nessuno dei mostri sacri del folk (Basho, Fahey, Sandy Bull), oppure un Nick Drake. Con questa musica, con questa coda strumentale iperdistorta (omaggio ai Pere Ubu), i Supreme Dicks si dimostrano fra i più grandi innovatori di sempre.


Garden of Your Past ha inizio con distorsioni apocalittiche elettroniche, per poi adagiarsi in un motivo suonato con sufficienza. Ogni brano comunque non può prescindere dagli altri. Sono spesso acquerelli senza spina dorsale, privi di ritmo, costruiti su accordi complessi e sofferti, cantati con voce abulica. E’ la degenerazione più devastante dello slo-core.


Se questo è vero, rimangono comunque delle tracce, dei segni di ciò che è stato. In A Sweet Song sembra davvero un brano folk, ma filtrato da un’altra dimensione. Il clima quasi sonnambulo di That I May Never Forget and Stay fa quasi da contrappunto al trionfalismo a là Waits di Woody Would've Wanted It That Way e di Jack-O-Lantern, e anticipa il sound del disco successivo, disco cardine di tutto il decennio.


Il vero capolavoro è comunque Strange Song, dieci minuti di chitarre pigre in stile slo-core, con improvvise disperate foghe strumentali.


The Emotional Plague, del 1996, è uno dei capolavori del rock-alternative, una summa del sound introverso e distorto dei Pere Ubu, con inserti classicheggianti. In Synaesthesia gli accordi stralunati del piano scordato fanno il verso a certe composizioni classiche. Il tessuto sonoro è complesso e articolato, doppiando un carillon con droni minacciosi e ambigui. Il piano si fa via via più opprimente, i motivi si contrappongono in una suite non troppo diversa da quella dei Residents di Meet The Residents, piuttosto arzigogolata e assai meno distorta. Se Cúchulain (Blackbirds Loom) è una ballad iperdepressa, Columnated Ruins/Seeing Distant Chimneys ha inizio con accordi che non possono non richiamare alla mente il Tim Buckley di Lorca. Forse è una seduta spiritica. Il canto è sonnambulo. Un semplice strimpellio di chitarra viene doppiato da un elettronica opprimente. Nel brano, frattanto si rincorrono accordi impossibili. Un altro riferimento per questa musica così devoluta sono ovviamente i Residents, ma è l’atmosfera il vero centro di gravità. La complessità delle partiture richiamama alla mente i padri del post-rock, gli Slint.


I Supreme Dicks riescono così, citando alcuni mostri sacri del rock alternativo, a creare un maestoso affresco di musica e suoni. In questo quadro non potevano mancare i richiami ai grandi Pere Ubu, perché intorno al minuto cinque, un blues caracollante estremamente devoluto rende bene la loro idea della danza moderna.


Along a Bearded Glade ha un’introduzione meditata e poetica, un ambiguo senso del bello, ma con un’angoscia latente. Ciò che colpisce della band di Boston è la capacità di creare passaggi sonori così allucinati e complessi con una strumentazione affatto scarna.


Sweel Song è così una parentesi folk, una ballad iperdepressa che si ricollega non poco agli Slint di Spiderland, con quel suo moto circolare, mentre in Showered alternano la classica ballata con distorsioni e minimalismi, dimostrando una volta di più la vera cifra stilistica della band: realizzare epopee in musica con un vocabolario così povero.


L’apice del disco (e forse del rock stesso) è rappresentata dai loro lunghi brani strumentali. In A Donkey's Burial in a Tower on a Mirage - un brano difficile e avventuroso – i Pere Ubu di Sentimental Journey rivivono con un sound iperdistorto e astratto, che cita tuttavia anche gli Slint di Breadcrumb Trail, un senso quasi jazz per i ritmi e le strutture del Tim Buckley di Starsailor e di Lorca.


In Adoration de l'Agneau Mystique si trasmuta in fiati distorti ed enfatici (con qualcosa di Jon Hassell), per poi indugiare in una frase metallica di chitarre vibranti, con un inquietante ronzio di sottofondo. E’ musica che stordisce l’ascoltatore, sposando ormai la pura avanguardia di suoni trovati. Il finale è ancor più paradossale, con un coro ubriaco su un tema melodico. E’ la loro versione di Miss Fortune.


In altri brani il melodismo e le salmoidaniche del rock si presentano con tutti i loro stereotipi, ma, pur non ostentando la magniloquenza/insofferenza dei capolavori non ricadono per questo nei gangli di una musicalità estenuata ( Porridge for the Calydonian Boar, Siberian Penal Colony (Ode to Joel Stanley). Il primo ha infatti un’introduzione da manuale, persino eterea. Ma non nelle sue intenzioni. Voci fuori campo narrano storie da incubo e la musica di colpo si devasta in un delirio onirico, fatto di camaleontici trasformismi. La seconda è introdotta da un’incalzante figura in stile hard-rock, per poi indulgere in un’atmosferica-acquatica litanià di stecche e accordi appena abbozzati.


Nella conclusiva Green Wings Fly Adventure (Showered Reprise), i fiati si stagliano in un clima sempre più sonnambulo. Fra stecche geniali, voci fuori campo, angoscia da funerale campestre. Il finale, un coraccio da pub, è l’epitome della loro pazzia e anticipa l’unico momento melodico, un assolo che sembra volersi librare verso l’alto.


DISCOGRAFIA


Uneximaned life (1992) ****


The Emotional Plague (1996) *****