recensioni


RESIDENTS


Forse la band più geniale dell’intera storia del rock, i Residents hanno fatto dell’oscurità e del mistero un’ideologia. Il nucleo di partenza era costituito da un duo gelosissimo della propria privacy che, intorno alla metà degli anni ’70, iniziò a comporre suite ispirate ai collage zappiani, sebbene rispetto a questo, i Residents realizzavano delle partiture più semplici e meno goliardiche, ma anche più tragiche.


In tal senso, forte è stato il lascito che i Residents hanno consegnato alla nascitura new wave. Senza di loro sarebbe stata impensabile la “danza moderna” dei Pere Ubu, la musica concreta industriale dei Throbbing Gristle, il sound nasale e devoluto dei Devo.


La continua tortura esercitata alla strumentazione, continua parodia del bello in senso estetico, unita ad una voluta povertà di mezzi, ne ha fatto, in un certo senso, il primo lo-fi group, mentre il tappeto pressoché tribale di percussioni ha anticipato gli esotismi di maniera dei Talking Heads. Peraltro, l’abilità strumentale dei Residents si spingeva persino a sfidare le regole dei generi, superandone gli steccati. Era musica totale nel senso pieno del termine.


Fra i primi ad inaugurare la varietà sistemica delle musiche del mondo, sono stati anche profeti della world music, arricchendo le proprie partiture di elementi orientali e africani, ma non di meno, sono stati fra i primi ad esplorare la musica ambient creando, con il monumentale Eskimo una vera commistione con la world-music.


In Meet The Residents, del 1974, , Boots è un concerto di suoni meccanici, Numb Erone è un trionfo di intrecci sonori, in Guylum Bardot vengono anticipate certe sonorità arabeggianti che saranno perfettamente compiute in Not Available, Breath And Lenght mostra gli scenari inquietanti tipici del sound dei Residents; il canto nasale di Smelly Tongues si staglia su una musica atipica e ficcante. Il brano seguente Consuelo’s Departure anticipa persino l’industrial e i Pere Ubu . Il pianismo di Rest Aria sublima le doti d’arrangiamento uguali e diverse nello stesso tempo; Skratz è un brano di sussurri e singulti, Spotted Pinto Bean alterna frasi musicali ardite a cori goliardici; Infant Tango è una perfetta sintesi in chiave futurista di tante esperienze musicali passate, con il fantasma di Beefheart sempre presente; in Seasoned Greetings si sposa l’orchestrazione classica con l’ossessione minimalista; Crisis Blues con le sua terrificanti partiture, è l’epilogo di uno dei più grandi capolavori dell’intera storia della musica.


Not Available, dello stesso anno, ma pubblicato nel 1978, è uno degli esperimenti più arditi dell’intera storia del rock, assimilabile per le metodologie, se non per i contenuti, ai Faust.


Edweena è caratterizzata dalle percussioni ostentate accompagnate da un sound orientaleggiante; The Making Of A Soul vede l’insinuarsi del sax e del piano ad intonare inni di stralunata bellezza a far da contrappunto al bailamme generale; Ship's A'going Down è il preludio di quel biascichio consunto e consumato di voci che è il conciliabolo finale di Epilogue, mentre, fra l’una e l’altra si ode il poema del caos e dell’assurdo di Never Known Questions.


Inaugurato dal consueto tappeto tribale di percussioni, con il contrappunto tagliente di chitarre e il monotono vociare del canto, mentre un coro pusillanime e ripetitivo fa il resto portando aventi il brano sino allo stacco dell’assolo sempre più inquietante. Al minuto tre fa il suo ingresso uno stupendo assolo di piano, mentre la voce continua a cantilenare in tono lamentoso, anticipando il crescendo marziale di lì a poco, completato dai fiati che si ergono stridenti nel finale.


Fingerprince, del 1976, completa il trittico di capolavori dei primi Residents. Il pezzo forte è Walter Westinghouse che ha inizio con il doppio canto sempre più grottesco, mentre, da una parte il synth emette suoni e mugolii, mentre dall’altro le percussioni tribali sperimentano nuovi timbri sonori. Il sound è un continuo e sempre diverso alternarsi di sinfonie e di rumori liquidi, con l’incessante contrappunto marziale delle percussioni.


Duck Stab/Buster & Glen, del 1978, avvicina la musica dei Residents alla musica pop.


La seconda fase dei Residents viene inaugurata da Eskimo, che sposa l’epopea dei primi dischi con la musica concreta, ma anche con una visione alternativa dell’ambient di Brian Eno e della world-music di Jon Hassell.


L’intero album è caratterizzato dagli inserti concreti del vento gelido, nonché dai cori e dai rumori naturali. In The Warlus Hunt, costruito su una sola frase e in Arctic Hysteria, il canto è un autentico lamento accordato dal suono di una chitarra e da un rumore monotono delle percussioni, mentre il synth emette suoni stridenti che anticipano la seconda parte del brano tutta dominata dalle percussioni tribali. Il finale riprende la litanìa dell’ouverture.


In The Angry Angakok si odono i canti propiziatori tradizionali della civiltà esquimese (l’opera non potrebbe essere più antropologica) in un esperimento decisamente lontano dai gusti del grande pubblico.


A Spirit Steals A Child segue le medesime dinamiche ma mostra una rinnovata musicalità, affidata peraltro alle percussioni che nel finale intonano un duetto magistrale con il synth, dopo aver atteso allo spasimo delle meditazione in lingua originale.


La conclusiva The Festival Of Death presenta dei rintocchi di pianoforte, sempre accordati ai toni più bassi, è un assolo di batteria persino paragonabile ai Can di Aumgn. In seguito il brano prende la via tradizionale, sempre dominato dalle percussioni, prima di un intermezzo strumentale di fiati che duettano con la batteria e di cori alternati a clapping. Il finale squarcia le nuvole e scioglie il gelo, restituendo una speranza alla civiltà in uno dei rari momenti di luce della produzione dei Residents.


DISCOGRAFIA


Meet The Residents (1974) **** ½


Fingerprince (1976) *** ½


Not Avalilable (1978) **** ½


Duck Stab/Buster & Glen (1978) *** ½


Eskimo (1979) ****