PERE UBU
recensioni


PERE UBU


“Quando l’angelo della terra sarà morto, il vuoto pianeta materiale ruoterà come un robot ed insetti salteranno su e giù tra le città metalliche”. A. Ginsberg


I Pere Ubu sono stati una delle più importanti band della new wave.


The Modern Dance è, al pari di Marquee Moon dei Television, il disco capolavoro della new wave. Meno poetici, ma più eclettici dei newyorkesi, possono rispetto ad essi vantare una superiore completezza musicale, ma, di contro, un’inferiore capacità di dilatazione dei suoni. In compenso il disco spazia da sonorità quasi punk a punte di minimalismo. Gli squarci di violenza sonora sono assolutamente lancinanti. Forse soltanto i Chrome riusciranno a creare qualcosa di simile.


Ma la musica rock era solo un pretesto, i Pere Ubu, intendevano, con suoni che trasmigravano da un lato all’altro, intrisi di citazioni, forti di climi metallici e martellanti, dare voce ad una generazione diversa da quella di dieci anni prima.


I primi EP sono datati 1975. Final Solution ha inizio con i segnali elettronici a là Pink Floyd di Astronomy Dominè, seguiti dai rimbombi del basso. La musica è assai meno astratta delle opere seguenti, ma brilla comunque per inventiva, in special modo per quanto riguarda l’effettistica, non smentita dal ritornello pseudo-pop. In verità, questa musica anticipa il funk dei tardi Pink Floyd (The Wall, che forse per questo risulta, ad un ascolto più approfondito, piuttosto banale), ma anche dei Joy Division. Heart Of Darkness se è possibile è ancora più prodromica, vera musa ispiratrice della produzione della band di Curtis. Il basso pulsante introduce, il canto strozzato prosegue in un’infinita agonia che trova catarsi nell’incedere della batteria e nel tripudio del synth.


Il capolavoro, come detto, è del 1978. The Modern Dance: Non Alignment Pact apre l’album e porta con se suoni punk con inserti funky. Il tutto all’interno di un clima glaciale (forse in questo sono stati debitori dei negletti Residents). Segue The Modern Dance , autoindulgente quanto geniale, quasi a voler definire gli intenti e le deformazioni della band. Su una base funky violenta quanto orecchiabile viene inserito un minimalismo cadente e discendente, che si spegne a poco a poco, sino alla successiva esplosione (od implosione?).


Seguono dei brani più spiccatamente punk: Street Waves, brano rock and roll di eccelsa fattura, anticipata da Laughing, sorta di free-jazz del nuovo millennio con fiati e chitarra basso miscelati a voler creare un clima di disorientamento. E’ una geniale commistione di free-jazz ed avanguardia con il rock an.d roll


Chinese Radiation, appare la più melodica. L’assolo appare ripreso dai Pink Floyd (a voler dimostrare, come nel caso dei Television, quanto siano labili i confini fra i generi). Ma è solo apparenza, una bolgia disumana anticipa i piano che batte colpi causali nel silenzio generale.


Il picco del disco viene raggiunto con i brani introspettivi Over My Head e Sentimental Journey. Il primo è una diafana danza di spiriti al rallentatore con un che di tribale, il secondo è uno dei massimi brani rock d’ogni tempo. Un concerto di dissonanze (armonica, sax, corno) accanto a vetri che vanno in frantumi, mentre il synth imperioso di quando in quando duetta con la batteria monstre. Il canto di Thomas non appartiene più alla terra (e siamo in zona Buckley).


Altri brani piuttosto interessanti sono la conclusiva Humour Me, fantasia lisergica cadenzata e Real World dominata dal synth di Ravelstine.


The Modern Dance è così il capolavoro assoluto dei Pere Ubu, e uno dei massimi dischi del rock (e forse della musica) d’ogni tempo. La band è al massimo della forma, ogni singolo strumento, ogni singola cadenza, ogni minimo duetto è irresistibile e assolutamente alternativo. La grandezza della band renderà difficile, non solo bissare un simile capolavoro, ma anche avvicinarsi e renderlo commercializzabile. Infatti, pur avendo avuto una notevole influenza (su tutti i Sonic Youth, il sound della band non è stato imitato come quello dei Television o dei Velvet Underground, la loro influenza potrebbe piuttosto avvicinarsi a quella di Buckley, ed ha qualcosa di ultraterreno.


Dub Housing, del 1978, è la degna continuazione di The Modern Dance, ma pecca un pò di barocchismi. La voce di Thomas sembra subire una metamorfosi, avvicinandosi sempre più all’epilessia, i brani sono, per lo più, dei baccanali e perdono molte delle istanze avanguardistiche degli esordi.


I lavori che seguirono The Modern Dance accentueranno la cacofonia a scapito della melodia. New Picnic Time, del 1979, è un quasi inintelligibile coacervo di suoni, ora casuali, ora forsennati. La voce di Thomas – contesa fra il grottesco e il disperato – si staglia sempre più accanto a quella di Beefheart, al pari delle composizioni, nelle quali, l’humour goliardico raggiunge livelli di sperimentazione tali da poter essere reputata opera di pura avanguardia. In 49 Guitars & One Girl – il capolavoro nel capolavoro – le frasi musicali si susseguono senza tregua, dominate dal synth; in A Small Dark Cloud si assiste ad una sorta di word-music devoluta e deturpata, mentre 4 è dominata dalla sezione ritmica e dal canto assente, ma, nello stesso tempo onirico di Thomas che si ripresenta puntuale nel brano successivo. E’ difficile riscontrare in altre band la capacità di creare suoni così involuti con una strumentazione così elementare.


One Less Worry costituisce forse la summa delle capacità di canto peculiari di Thomas, che in Make Hay rifiata affidando le mosse alla sezione ritmica ed al synth. In Goodbye, un brano ossianico e claustrofobico si risentono gli echi delle più lamentose litanie di The Modern Dance.


In Art Of Walking, del 1980, si assiste ad un’accentuazione della dissonanza. Sembra di ascoltare un Trout Mask Replica di Captain Beefheart dominato dai sintetizzatori. Go è caratterizzato da frasi più elementari dell’album precedente. Rhapsody In Pink risulta dominata dal pianismo e dai gorgheggi di Thomas, mentre Arabia si snoda con un sound orientaleggiante e non dissimile da un carillon. Misery Goats vede il recupero della vera sezione ritmica della band di Cleveland, che in Rounder da il meglio di se lanciandosi in un pezzo fortemente dissonante. Ormai frastagliato il rumorismo di Birdies fa il paio con il pulsare ininterrotto e tribale di Lost In Art solo in parte smentito dalla discomusic di Horses.


DISCOGRAFIA


· The Modern Dance (1978) *****


· Dub Housing (1978) **** 1/2


· New Picnic Time (1979) *** ½


· The Art Of Walking (1980) *** ½