PETER JEFFERIES
recensioni


PETER JEFFERIES


Peter Jefferies è un prolifico musicista neozelandese di musica sperimentale. Dapprima col fratello Graeme, in seguito da solista, ha realizzato una serie di capolavori del lo-fi del pacifico


Beard Of Bees dei Kind Of Punishment è uno dischi cardine del post-punk neozelandese. Spiccano Prelude, autentica ingegneria pianistica con arrangiamenti certosini e From The Diary Of Herman Doubt, un post-punk più tipicamente neozelandese, con voce declamante e basso in primo piano. Col passare dei minuti il brano si fa sempre più trascinante e affiora una ipnotica struttura raga. Di gran pregio è anche The Horrible Tango, con basso evocativo, tape electronic, svolgimento alla PIL, conclusione alla Joy Division, ma più ambiziosa, così come è ambizioso l’incubo psicologico atonale di East Meet West e la lied bretchiana di Turning To Stone.


At Swim Two Birds è il primo capolavoro solista di Jefferies. Minimalista, cacofonica e atonale è una sfida per le abitudini di ascolto dei più (tiratura: 300 copie). Se Introduction è fatta di colpi di basso manierati e di melodie insinuanti, Thief With The Silver, tra rumori di sottofondo ed esperimenti vari, si distingue per il pianismo percussivo alla Cecil Taylor. Tutte diverse sono le due Piano: pianismo di ingegneria con mille ricami strumentali.


Jefferies si dimostra così tanto grande arrangiatore e pianista, quanto polistrumentista e sperimentatore. Interalia si pone in tal senso come una delle vette della sua produzione, cacofonia molto zappiana, con ritmo travolgente.


Ma fra le passioni di Jefferies si devono annoverare anche i Tuxedomoon, almeno a giudicare dal dittico della title-track, algida e androide e di Tarantella, fatta di reiterazioni e disturbi metronomici. Il tema viene così destrutturato e visto da mille prospettive, in una costruzione minimalista non troppo lontana da quella di Glenn Branca.


Where The Flies Sleep annovera persino un gong tibetano , mentre un vociare scomposto si alterna alle dissonanze alla Sentimental Journey dei Pere Ubu. The Standing Stone prova a recuperare la veemenza post-punk con un gusto particolare per la musica da film, laddove Aerial anticipa persino i bozzetti impressionisti del grande Roy Montgomery. L’incubo psicoanalitico di Short Was Fast non è di minor pregio.


In The Last Great Challenge In A Dull World, del 1991, I deliri di prima vengono riproposti in un formato appena più accessibile. Se Chain Or Reaction conferma queste istanze, Domesticia le affievolisce, laddove The House Of Wariness indulge in un concerto di dissonanze. In Cold View ogni strumento suona polifonico. Lo strumentale da cabaret di Likewise è il naturale contrappunto per la classica ballad alla Jefferies di The Fate Of The Human Carbine.


Catapult ripiega per un formato più accessibile di simili istanze, che in Don’t Look Down e in Listening In si traducono in un pianismo piuttosto classicheggiante. La variegata serie di “canzoni” di Jefferies non si ferma certo qui. Così la lied di inquietanti disturbi di sottofondo di While I’ve Been Waiting anticipa l’ardua costruzione di Neither Do I, mentre il boogie supersonico dei Velvet Underground di Waiting For My Man viene doppiato da chitarre gracchianti alla PIL in The Other Side Of Reason. Con questo lavoro Jefferies raggiunge i massimi livelli ispirativi nella composizione di canzoni.


Appena al di sotto è Electricity (1994). Se Wined Up segna il ritorno al post-punk e ai Velvet Underground, numerosi brani ripiegano su un pianismo melodico e ricco di arrangiamenti trionfalistici (Quality, Scatterei Logic, By Small Degrees), laddove la title-track appare come un omaggio a Beefheart, Dear Boss è un quadro astratto con gli strumenti letteralmente impazziti e Clear By Morning è fatto di rintocchi casuali e disturbi vocali. Next e Just Nothing sono due incubi rumoristici.

Tutto diverso è Substatic, del 1998. Peter Jefferies è riuscito a creare non solo una fusione fra musica classica e punk, ma ad adottare queste partiture e ad asservirle a quello stile. Oltre a ciò Jefferies ha tradotto nella zeitgeist degli anni ’90 l’ossessione minimalista, il krautrock e l’ambient.


Index non deve trarre in inganno con il suo riff da musica da film. Minime variazioni sottendono un disegno cupo e ambizioso. La forte distorsione alla Doldrums non solo si è fatta eterna, poiché fra la musique concrete a là Pere Ubu , un delicato pianismo rinverdisce un senso del bello che sarebbe piaciuto ai Residents di Making Of A Soul. Il camaleontico Jefferies cesella partiture degne di un romanzo di ingegneria, ma la foga esecutiva è quella della new wave (più sostanza che forma).


Signal è brano ancor più avventuroso. Dall’elementare intro si stagliano effetti sempre più complessi, la musica cambia prospettiva come in una versione elettrica di Roy Montgomery, ma il brano vero e proprio non ha mai inizio.


In Damage l’effettistica prende il sopravvento, mostrando un Jefferies maestro nel genere. Degno di stare a fianco di una Hallogallo o di una Miss Fortune nella sua deformazione e manipolazione di suoni questo è un brano industrial peraltro, con mimesi affatto evidente di suoni di fabbrica, ma trasferiti dalla new wave all’ambient (come se le fabbriche avessero finito per diventare un’astrazione dalla rappresentazione che erano nell’industrial dei Throbbing Gristle).


In Kitty Loop fanno capolino le persussioni dal battito tribale, che mostrano l’enciclopedica attitudine di Jefferies a decostruire la storia del rock –alternativo. Niente affatto eretico tuttavia, il neozelandese, non abbatte dalle fondamenta un disegno complessivo, ma cionondimeno non ricade nei gangli di una musicalità assumibile alla sintesi delle esperienze pregresse.


Come Montgomery, Jefferies deve aver amato molto la musica alternative degli anni ’70-80. Come Montgomery non ha sfidato le leggi dei timbri o dell’armonia, ma non si è neppure limitato a farne una sintesi. Lo dimostra la maestosa Three Movements, inaugurata da chitarra e fiati all’unisono con una frase elementare piano, per poi propendere in una costruzione fantasiosa, quasi esotica, doppiata da un ritmo marziale. L’accompagnamento dei fiati potrebbe ricordare i Traffic, ma il clima cambia col variare d’impeto del piano, che suona quasi distorto e potrebbe ricordare una versione soft dei Supreme Dicks, se non fosse per il fatto che mantenga un contegno. La chitarra affilata disegna così traiettorie eccellenti, doppiata solo dal riff pianistico che in seguito prende il sopravvento, doppiato stavolta da una chitarra spaziale.


DISCOGRAFIA


Ø Beard Of Bees (1984) ****


Ø At Swim Two Birds (1987) ****


Ø The Last Great Challenge In A Dull World (1991) ****


Ø Electricity (1994) ****


Ø Substatic (1998) ****