TUXEDOMOON
recensioni


TUXEDOMOON


I Tuxedomoon, insieme ai Residents, furono la band più importante della new wave di San Francisco. Le loro radici affondavono nel teatro d’avanguardia, piuttosto che nel rock and roll.


L’elettronica, doppiata perennemente dall’utilizzo atipico dei fiati, fu la loro bandiera. Lontani anni luce dai conati garage di New York, i loro brani, rarefatti, decadenti, talora dimessi, cedono solo alle lusinghe di un pop futurista che potrebbe avvicinarli ai Roxy Music.


I tentativi incerti di No Tears (una elettronica tipo disco piuttosto seriosa) vengono del tutto suparati da Half Mute, del 1980, un album che chiude in bellezza l’era dell new wave.


Nazca è fatta, nel suo incedere, di pulsazioni quasi metronomiche, un indugiare dimesso e misterioso, che si apre solo in parte alla melodia di un sax atmosferico. È musica che irradia un forte senso di solitudine e alienazione, assai vicina alle atmosfere dei primi Roxy Music, ma con l’aggiunta di una vena quasi onirica.


Fifth Column potrebbe, con quel suo sax ragionato, quelle due quadrature di basso, ricordare una lied cameristica autoindulgente, mentre in Tritone spicca un pop futurista avvicinabile ai Devo in versione mitteleuropea.


La breve James Whale è introdotta da suoni onomatopeici, che si trasmutano in agghiaccianti disturbi sonori. In Volo Vivace la vena pop futurista si sposa magnificamente con la lied cameristica. È forse il brano più programmatico, sofferto e dilaniato nelle sue elucubrazioni del sax, fruibile nella sua accezione intellettualistica delle aperture melodiche.


Non mancano tuttavia le asperità degli esordi. In particolare in 59 To 1, ancora combattuta fra il pop e la disco e in Km, lunga litania inaugurata da una figura rubacchiata al Coltrane di My Favorite Things e da un minaccioso contrappunto. Nel corso del brano si moltiplicano le deformazioni elettroniche del sottofondo, per concludere con una sorta di danza robotica, intercalata da canto androide.


DISCOGRAFIA


Half Mute (1980) * * * ½