KING CRIMSON
recensioni


KING CRIMSON


Che i King Crimson risultino essere il più grande ed importante complesso di progressive-rock appare essere un fatto indubitabile. Che l’apogeo della loro produzione sia stato raggiunto con il loro primo disco, egualmente, appare essere pacifico.



Disco, questo, che col tempo, probabilmente, dovrà essere ulteriormente rivalutato per l’originalità di talune trovate e per la completezza dell’apparato musicale. Di contro, l’eccessivo afflato melodico appare pregiudicarne le pretese istanze di sperimentazione.


Lirismo e barocchi accademismi, melodie cantate con voci flautate e cori, suoni apocalittici che sembrano preannunciare ben più mirate sonorità, minimalismo, quasi sepolcrale, ossianismo e stagnante musicalità convivono come un sol tutto quasi a voler creare un nuovo ordine musicale.


Che tale nuovo ordine voglia essere instaurato, ma con pretese da musica da classifica (lo testimonia il fatto che il disco raggiunse in poco tempo i primi posti delle classifiche inglesi), lo dimostra l’introduzione elettronica-apocalittica di 21th Century Schizoid Man. I suoni iniziali verranno ripresi dai Chrome, in seguito, un’introduzione hard-rock anticipa il fragore dei sassofoni. Il chitarrista Fripp, in seguito, si lancia in un fraseggio di chitarra che è forse quanto di meglio il rock abbia mai espresso. Suoni alieni, accordi impossibili denotano una perizia unica. Probabilmente Fripp è stato il massimo chitarrista d’ogni tempo. Sicuramente uno dei più misconosciuti.


I Talk In The Wind appare essere il contrappunto musicale del brano precedente. Delicata, eterea, costituisce un brano melodico della miglior specie.


La successiva Epitath non abbandona l’afflato melodico che, in fin dei conti, regge l’intero album. Forte di una carica emotiva senza pari, il canto disperato di Lake accompagnato da chitarra e mellotron lascia sconcertati, dando una sensazione di solitudine e disperazione. I più commerciali Pink Floyd devono molto a questo brano.


Moonchild, con I suoi 12 minuti è il brano più lungo e difficile del disco. Venata di un minimalismo quasi sepolcrale anticipa di molto i Van Der Graaf Generator , ma anche certa new wave, per tacere dell’ambient e della new age (e forse la world-music). Pedante, sicuramente, ma geniale intuizione quella lunga lied cameristica che conclude il brano, con musiche stagnanti, ambientali appunto (mi si passi il paragone: le Ninfee), continumante rimesse in duscussione.


La conclusiva The Court Of The Crimson King spicca per il valore aggiunto dato dai fiati di McDonald.


Sarebbe riduttivo considerare In The Wake Of Poseidon un disco solo mitologico o financo una ripetizione di In The Court. Siamo di fronte a di un grandissimo disco, forse anche superiore al predecessore (e non voglio fare l’eretico). Il brano iniziale supera ogni tentativo di 21 Th Century, poiché non indugia sul solo free-jazz, peraltro piuttosto autoindulgente, ma su un jazz-rock maschio figlio bastardo di Miles Davis, sicuramente fonte di ispirazione per i Van Der Graaf Generator. Il terzo brano è poesia e supera Epitath, fin troppo asservita al ritmo e alla coralità. Nello sforzo di sembrare meno concettuali i King Crimson hanno superato se stessi, imbavagliando la chitarra del genio Fripp e arricchendo le sonorità con i fiati di Collins. Talvolta è persino il rock and roll più epidermico la fonte di ispirazione della band, talvolta si sconfina in zona avanguardia.


In , dell’anno successivo, spicca il brano Cirkus, con il suo iniziale fraseggio folk che farà la fortuna dei Genesis , prima dei lunghi onirici dialoghi classicheggianti, ora deflagranti, ora quieti. Il sax fa da contrappunto a questi spunti, insinuandosi con le sue melodie in questo quadro di claustrofobia.


Starless And Bible Black e Lark's Tongues In Aspic indulgono sin troppo nei melodismi come quello di The Night Watch, a metà strada fra i Genesis più bucolici e la forma canzone. Soprattutto nel secondo fa capolina una connotazione essenziale di tutta la loro opera (e di quella di Fripp): la pedanteria.


Red, del 1974, è un altro capolavoro della band londinese. La title-track inzia con un terrificante riff chittaristico, ma in seguito il pezzo si adagia in un onirico fraseggio che anticipa la nuova esplosione.


Il perpetuarsi delle due istanze ipermelodiche da una parte, di suoni duri e aggressivi dall’altra, i contrappunti melodici che s’insinuano in strali di silenzio, solo intervallati dal dialogo di elementi classicheggianti, prima della riapertura dei riff più rabbiosi, sono l’epitome dell’eterna nemesi fra il bene ed il male, che trova la sua più elementare raffigurazione nel didascalico utilizzo di elementi mitologici.


La formazione ritornerà ad incidere nei primi anni ’80 l’album Discipline, che nel voler essere un lavoro al passo coi tempi (l’esostismo alla Talking Heads e la vena da fabbrica a metà strada fra i Joy Division e i Pere Ubu) finisce per risultare un ibrido fra i primi King Crimson (basti pensare alla suite Sheltering Sky , con il chitrrismo di Fripp a rincorrere brani come quelli di Red e dell’opera d’esordio) e queste istanza, compendiate ottimamente dalle percussioni-afro spiccatamente etniche.


DISCOGRAFIA CONSIGLIATA


In The Court Of The Crimson King (1969) ****


Lizard (1970) ***


In The Wake Of Poseydon (1974) ****


Lark's Tongues In Aspic (1974) *** ½


Red (1974) *** ½


Discipline (1981) *** ½