BLIND IDIOT GOD
recensioni


BLIND IDIOT GOD


I Blind Idiot God sono stati una delle più grandi band strumentali di sempre. Con loro il power trio mutò concetto, passando da semplice connubio di suoni più o meno disarticolati, ad un concetto avveniristico di dissonanza. In forte debito con i Chrome, il loro sound frenetico, dissonante, complesso, non è l’epitome della civiltà industriale o del moderno espresso in musica, ma qualcosa di ancor più astratto.


L’album d’esordio è un album cesura del rock. In effetti, prima e dopo Blind Idiot God il rock è qualcosa di diverso. Difficile trovare qualcosa di più estremo, se non le sinfonie di Glenn Branca filtrate da un’altra dimensione. La potente carica di Subterranean Flight è una babele di suoni come la complessa geometria di Dark & Brightassurge a reiterazioni quasi opprimenti. Stravinsky/Blasting Off è il manifesto dei loro moti circolari potenti e ragionati ad un tempo che eserciteranno tanta influenza nel math-rock. Ancor più ragionate e cerebrali sono Tired Blood e More Time (tour de force della batteria) e Wide Open Spaces in una figura quasi minimalista (in senso molto lato) si alterna a potenti deliri cosmici. Il lavorio indefesso della sezione ritmica di Shifting Sand apre la strada alle variazioni hendrixiane del finale.


Concludono le magistrali Wise Man Dub, Stealth Dub, Raining Dub, più esotiche ed atmosferiche, contrappunto naturale per i terremoti sonici di prima.


Wise Man Dub è inaugurata da suoni fragorosi, che poi alternano una chitarra quasi indolente, che cambia di continuo prospettiva, pur rimanendo fedele al suo portato, con una sezione ritmica assoluta protagonista. La chitarra spazia così indisturbata in un raggio d’azione veramente esteso, passando dalle semplici reiterazioni a continui cambi di tempo. Sembrerebbe quasi un mirino per un non identificato obiettivo.


Stealth Dub è caracollante, spara dapprima frasi musicali ad oltranza, ma poi rinnega la sua dinamica per indugiare in lunghe parafrasi di se stessa. Complessa e convoluta, alterna poi digressioni sullo stesso tema con temperie quasi ossessive, in un sottofondo opprimente. Talvolta è Hendrix il vero ispiratore di questa chitarra lanciata a mille e poi imbavagliata. Hawkins si rivela così uno dei massimi chitarristi di sempre.


Raining Dub continua il manifesto programmatico della band in maniera appena più accessibile. Almeno nella sua intro è la chitarra a fare da strumento guida, ma stavolta la dinamica è più lucida, pur non rinunciando ad uno spleen piuttosto lungo, in cui tutto si perde.


L’idea di fondo è di eseguire una temperie angosciosa con uno strumento guida, immediatamente bissato da suoni talvolta onomatopeici, talaltra interscambiabili, ancora indiscernibili. E’ un programma agonizzante, che farà, nel corso dei ’90, non pochi proseliti (Slint, Don Caballero).


Undertow, dell’anno dopo, se è possibile, rincara la dose, ma perde molta della cretività dell’opera prima. Ci si concentra così sui dub, i brani esotici che si alternano fra un terremoto sonico e l’altro. Clockwork Dub, in particolare, è forse la più avveniristica, Watch Yer Step, più accessible, laddove Major Key Dub raggiunge i più alti livelli di trasformismo. Dubbing In The Sinai conferma la statura del trio venuto dal Missouri. Per il resto l’album ricalca, con minor ispirazione, il predecessore. Sawtooth è potente e rumorosa, e si contraddistingue per i riff sin troppo autoindulgenti, Atomic WhipAlice In My Fantasies è smaccatamente hendrixiana. Più interessante è Drowning, inaugurata da un assai poco pretenzioso hardcore, ma che si ripiega in un afflata metafisico. Rimane ancora tempo per il cupo incubo psichico di Rollercoaster e per la prodromica per il math-rock tutto Wailing Wall


Il progetto Azonic è varato da Andy Hawkins, chitarrista dei Blind Idiot God. Halo perde così gran parte dei conati avanguardistici degli esordi per ripiegare in variazioni hendrixiane affatto mutevoli. I brani si allungano a dismisura. Beyond The Pale ha inizio con un’effettistica consumata, feedback, movimenti tellurici. E’ una lunga tour de force chitarristica, deformata e mostruosa, a tratti rumorista, sempre nell’orlo della follia, prodromica forse degli Hash Jar Tempo, degli Earth, di Kaspar Brotzmann e dell’iperpsichedelia giapponese dei Mainliner. Headwaters da ancor più l’idea del vuoto e dell’atonale e di come la cacofonia possa inserirsi in queste istanze.


DISCOGRAFIA


BLIND IDIOT GOD


Blind Idiot God (1987) ****


Undertow (1988) *** ½


AZONIC


Halo (1993) *** ½
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