Profondamente influenzati dalla scuola minimalista di
Terry Riley e dal free-jazz di
Anthony Braxton , i Town And Country hanno aggiornato simili istanze con un post-rock alla
Tortoise caratterizzato dalla lunghezza (e petulanza dei suoi brani), ma anche da qualcosa di lo-fi. Poco o nulla ridondante, questa musica umile e dimessa, queste lunghe nenie post psichedeliche sono forse un contributo non eccelso all’odierna civiltà dei suoni, ma cionondimeno, sono un nuovo manifesto di anti-rock, come lo era stato, negli anni ’90, quello dei Dead C.
Se questo è vero, come è vero che i Dead C. erano influenzati dall’industrial e facevano confluire simili istanze in una beckettiana decostruzione del metodo, così i Town And Country, ancor prima che decostruirlo, fanno sparire il suono, mai così denegato, neanche nelle più estreme opere di
slo-core.
C’mon aggiorna queste istanze con la
zeitgeist degli anni duemila, forse più
Radiohead (cioè più forma che sostanza). Sia come sia, brani come
Going to Kamakura sono pura teoria musicale e forgiano un linguaggio nuovo, sfrenato, di scampanellìì, prima che di fiati che si insinuano nei discorsi sfilacciati. La trance sonora si dipana per otto o nove minuti, senza che succeda nulla.
The Bells, ancor più influenzata dal free-jazz, è Braxton catatonico, in un paesaggio sonoro asettico.