recensioni


SLOWDIVE


Gli Slowdive sono stati, al pari dei My Bloody Valentine, la band più rappresentativa del movimento shoegazer. A differenza dei primi, però, gli Slowdive risultavano essere più melodici e sognanti, ipnotici, piuttosto che sferzanti e dissonanti.


Il primo EP omonimo, del 1990, rivela un talento per le ballate atmosferiche come Slowdive, con il basso pulsante e spesso protagonista delle partiture. Le composizioni dei Slowdive sono tutto sommato melodiche, intrise di una inquietente dolcezza, non destano sorprese di sorta, ma progrediscono man mano conferendo un che di sognante e, in senso lato, geometrico nel loro essere così cesellate. In brani come Avalyn il discorso non si attenua ma gode di un’aumentata carica di emotività dovuta al più sotteso richiamo etnico.


Del 1991 è un altro EP, Morningrise, con la title-track, obiettivamente il brano più grintoso della loro carriera, ma non certo il più originale, autoindulgente come un brano pop da classifica. She Calls, col suo finale ridondante, invece, contiene in nuce tutte le componenti degli Slowdive della maturità.


Just For A Day, del 1991 – anno di grazia del movimento – album compiuto e perfetto in ogni sua parte, bisbigliato e onirico, maturo e trascendente si impone alla testa del movimento con un pugno di brani come Catch The Breeze, con la melodia che si inerpica e sale sino alle nuvole; Brighter, delicata in tutto: dagli accordi, ai bisbigli semimpercettibili, al lavoro percussivo, ridotto ad un ossuto accompagnamento. Altro brano di spicco è Ballad Of Sister Sue, che contiene e perfeziona tutte queste istanze. La band dimostra un straordinario talento compositivo, realizzando musiche espressive con un vocabolario così ridotto.


Primal raggiunge il vertice di questa musica meditata, più simile ad una preghiera che ad una raccolta di canzoni. Con un chitarrismo tagliente in stile Joy Division, il canto sempre più sofferto in una litania alla Leonard Cohen e una sezione ritmica mai così partecipe, vede la luce uno dei brani più belli degli anni ’90. In Spanish Air dominano i bisbigli d’autore, accanto alle marziale lavoro percussivo, mentre il finale ridondante richiama alla mente i migliori Roxy Music.


Nel 1993 viene pubblicato Souvlaki, disco controverso che da una parte strizza l’occhio alla musica commerciale, ma dall’altra presenta alcuni brani magistrali, nel quale compare anche la loro canzone più famosa: Machine Gun, che compendia tutti gli stilemi della band. Il canto bisbigliato, le tastiere a percorrere crinali onirici, le chitarre a tagliare l’atmosfera sapida di rumori, mentre feedback fanno da contrappunto a questo celestiale quadro. E’ uno dei capolavori degli anni ’90.


Brano di spicco è anche Alison, che tuttavia non rinuncia ad un carattere eminentemente pop, senza per questo cadere nei gangli della musica commerciale. In brani come Souvlaki Space Station si denota persino qualche accenno new-age, ma è solo un’illusione, poiché quei fraseggi non sono che un pretesto per una musicalità forse più contingente, ma anche più personale. Melon Yellow, egualmente, ricade, anche se non in maniera ostentata, nelle spire della musica da classifica. In questa fase, le partiture degli Slowdive si fanno sempre più deboli e sempre meno originali, per quanto mantengano sempre un certo fascino.


40 Days rimette tutto in discussione. Le partiture acquistano una certa consistenza e l’arrangiamento più robusto giova all’originalità del tutto. In accordi sofferti, mai mitigati neppure dalla più tenue speranza, gli Slowdive traggono nuova linfa per la loro originalità.


When The Sun Hits, si caratterizza per un canto intimista, per poi esplodere in un ritornello che non nasconde una certa autoindulgenza.


DISCOGRAFIA


Slowdive EP (1990) *** ½


Morningrise EP (1991) ***


Just For A Day (1991) ****


Souvlaki (1993) *** ½