recensioni


STEVE ROACH


Maestro delle manipolazioni elettroniche, musicista “spaziale”, ma nel contempo ancorato alla terra della musica etnica, Steve Roach con le sue opere maggiori ha creato un connubio fra il primitivismo etnico e il futurismo spaziale, costituendo, al pari di Jon Hassell, la nemesi al “primitivismo futurista” del periodo, ma ad un tempo, rappresentandone l’altra faccia, quella fatta di droni elettronici e non di caos di tribalismi neri (Einsturzende Neubaten).


Nel monumentale Dreamtime Return Toward The Dream, ritmata e accattivante, sembra essere una commistione fra new-age e funky, in The Continent i droni salgono ai massimi, solo intervallate dalle percussioni, che in Songline raggiungono il loro apice mistico ed etnico. Airtribe Meets The Dream Ghost è caratterizzata da bisbigli sonori, con percussioni minimaliste, che in A Circulary Ceremony si trasmutano in manipolazioni elettroniche e in un gelido accavallarsi di droni maestosi.


The Other Side, Magnificent Gallery e Truth In Passing si presentano come un brani classici, austeri e compassati, da manuale della new-age. Probabilmente, senza l’influenza di Roach i Black Tape For A Blue Girl non sarebbero neanche esistiti.


Australian Dawn mostra uno spiraglio di luce, che in Lookign For Safety Through A Strong Eye viene smentito da suoni metafisici, persino minacciosi in The Ancient Day, prima della redenzione di Red Twilight Wich The Old , a tratti mistica.


World’s Edge, del 1992, attenua la carica minacciosa dei droni, divenuti quasi celestiali (la title-track, Falling, Flying, Dreaming), ma non smentisce i toni tribali delle percussioni, spesso ricchi da inserti elettronici (The Call, When Souls Roam e Thunderground). Il resto è dato da stacchi di synth (Steel And Bone), droni spaziali (Undershadow), ragionate contaminazioni e dissonanze (Beat Of Desire e Glimpse), sino al terrificante finale di Drift, con sibili di vuoto cosmico.


DISCOGRAFIA


· Dreamtime Return (1988) ****


· World’s Edge (1992) ****