PORTISHEAD
recensioni


PORTISHEAD


Mutuando il proprio sound da certi film noir e con un canto che riprende in maniera atipica il soul, i Portishead sono stati il più importante complesso del trip-hop.


Del trip-hop, tuttavia, i Portishead non sono stati gli inventori, anche perché il connubio fra i due generi sembra trasfigurarsi, piuttosto che in certi manierismi, in un malcelato incubo.


Le partiture sono anemiche, il canto del soul conserva solo il nome, e, più che dall’anima, sembra caratterizzato dal lamento dell’interprete.


In Dummy, del 1994, la musica da camera per strumenti elettronici, valorizzate da dissonanze, non perde il suo carattere inquietante, ma lo accentua, specialmente il brani lineari come quello d’apertura Mysterons. Il lavoro è abbastanza accessibile, ma innegabilmente magistrale, perché nessun brano sembra avere il sopravvento sugli altri, costituendo, in ultima analisi, i tasselli di un unico mosaico, intriso di malinconici gorgheggi, rappresentazione de ina nevrosi ben diversa da tanti loro predecessori.


Il carattere è, infatti, vieppiù contingente, e la rappresentazione – di conseguenza –, terribilmente reale. I Portishead non indugiano in caratterizzazioni mitologiche o religiose, come tante band “gotiche” degli anni ’80, oppure in odi al caos, in stile krautrock, ma, nel loro caso, l’elettronica, più che dimostrare l’origine o la fine del cosmo, per poi riassestarsi in una musicalità rinnovata, rappresentazione della speranza del genere umano, non tende mai ad impennarsi e prosegue piana e dimessa, a testimoniare una sensazione di sconfitta e di profondo pessimismo


DISCOGRAFIA


Dummy (1994) *** ½


Portishead (1997) ***