PETER GREEN
recensioni


PETER GREEN


Quando Peter Green lasciò i Fletwood Mac, del quale era stato il principale compositore, fu preso da crisi mistiche, dalle quali scaturì The End Of The Game, degno di stare a fianco del coevo Starsailor.


La sezione ritmica fu pressoché trovata per strada, mentre al piano, Zoot Money (ex Animals), realizzò una della esperienze più importanti del rock di sempre. La sezione ritmica composta da due turnisti fu invece la sorpresa, un battito ora tribale, ora in stile jazz permeava l’urlo chitarristico di Green. Un organista completava l’accolita di musicisti. In una notte l’album vide la luce e chiuse per sempre l’era psichedelica.


La musica è astratta, rarefatta, urlata, tribale. Un jazz rock della jungla, improvvisato e miracoloso, sciamanico e disperato. Ode al caos, alle paure ancestrali, rituale propiziatorio, flusso di coscienza.


Apre Bottom’s Up ed è subito capolavoro. La sezione ritmica è al meglio (tour de force finale della batteria), la chitarra lancinante toglie il fiato. Segue Timeless Time. Protagonista assoluta è la chitarra di Green stavolta quasi eterea, sfaccettata, che paga il fio al tribalismo di prima, accompagnata come è dal solo suono dei piatti.


Il capolavoro va però ricercato altrove e cioè in Descending Scale, uno dei massimi capolavori d’ogni tempo. Stavolta l’intro è organo e piano (Zoot Money). Ad un certo punto fa capolino la chitarra di Green. In un duello metafisico gli strumenti si danno ad una lotta disperata, un deliquio che non altri referenti se non il free-jazz di Charlie Haden e forse la lotta per la sopravvivenza. Uno studio della dissonanza nella fase centrale è uno dei punti più alti mai raggiunti da musicisti rock.


Brano ancor più jazz (nonostante l’introduzione quasi fuorviante) è Burnt Foot Stavolta la chitarra improvvisa su un tappeto di percussioni libere. Se Hidden Depth è l’inevitabile prezzo da pagare al rock-blues, la title-track è l’ultima e definitiva esplosione di rabbia (e l’unico momento “epidermico” di un album assolutamente astratto) di una chitarra lancinante, sgolata. Il resto dell’album sembra quasi la preparazione, il rituale, End Of The Game è il sacrificio finale, quello che da il senso a tanta metafisica.


Green ritornerà nel 1979 con il discreto In The Skyes (con la title-track e un blues in do minore).


DISCOGRAFIA


The End Of The Game (1970) **** ½


In The Skyes (1979) ***