recensioni


JESUS LIZARD


I Jesus Lizard hanno trasfigurato in post-hardcore i blues caracollanti di Captain Beefheart nella visione totale dei Pere Ubu. Secondo questa ottica, la loro è la versione definitiva del rock-alternative.


Pure, il primo lavoro, del 1989, è ancora acerbo, ma in brani come Blockbuster si vedono in nuce tanto la voce non umana di Yow, quanto i battiti tellurici della sezione ritmica, doppiati solo dalle reiterazioni post-industrial della chitarra. Gli stacchi elettrici anticipano un’apoteosi che si alterna ai misuratissimi interventi di chitarra stavolta dissonante. Non stupisce pertanto che in Starlet la prima parte sia dominata dal basso, mentre la chitarra svolga una funzione di reiterazione. Se il costrutto è rappresentazione di indole violenta, la partitura è di disarmante semplicità ed efficacia. In Bloody Mary coniano persino una forma di musica da camera per hardcore, protesa verso il jazz e su lancinati variazioni di chitarra. Rapid Pigs è una sorta di danza moderna dei Pere Ubu suonata con la foga dei Butthole Surfers in versione minimalista. Che questo non sia un semplice gruppo hardcore lo dimostra altresì Happy Bunny Goes Fluff-Fluff Alon ormai in pieno clima industrial con rumori concreti e chitarra in vena di astrazioni.


In Head, 7 vs 8 ha il canto sfibrante, una sezione ritmica impietosa che anticipa le magie della chitarra di Denison. Ogni strumento è dosato nei minimi particolari e svolge una funzione, ad un tempo, solista e d’insieme. Non smentisce questo assunto neppure le costruzione melodica di Pastoral, memore di qualche new wave, ma filtrata per il tramite di una sezione ritmica che rompe ogni indugio affidato alle corse chitarristiche.One Evening è un semplice gioco di rimpalli fra batteria albiniana, chitarra sincopata e proiezioni melodiche. S.B.D.J. mostra la foga al canto di Yow, mentre Denison accompagna con agghiaccianti riff le cui variazioni armoniche ne fanno uno dei massimi chitarristi del decennio. Non smentisce questo assunto neppure in un brano programmatico come My Own Urine, con il canto anti-crooner e spasmi di una chitarra che passa dall’andamento lezioso a quello veloce con disinvoltura. Tutto diverso è il jazz (forte di una delle massime sezioni ritmiche di sempre) di If You Had Lips e i numeri ritmici a metà strada fra il boogie e il metal di Waxeatere e Good Thing (quest ‘ultimo avvicinabile ai Fugazi) . Tight 'n Shiny è uno strumentale garage-rock in cui la vena chitarristica si mostra in primo piano. La fugaziana Killer Mchann chiude l’album.


Goat (1991) compendia alla perfezione le diverse istanza del gruppo. Then Comes Dudley è per certi versi il brano definitivo dei Jesus Lizard (basso pulsante, chitarra lancinante, apoteosi di chiusura, chitarra lanciata verso l’inifinito), laddove Nub recupera non poco della lezione impartita da Albini, quantomeno nel battito da drum-machine, smorzato tuttavia da una carica quasi new-wave. In questo senso, ancor più programmatica è Lady Shoes, fatta da un unico attacco propulsivo alla Big Black. Ancora la sezione ritmica scatenata fa propellere Mouth Breather. Il capolavoro va però cercato altrove e precisamente nella lied espressionista di Seasick Il canto di Yow è quantomai sgolato, la chitarra stecca magistralmente e il cupo rimbombo di basso, unitamente ai feedback sono rappresentazioni di un timor panico che si fa forte di una batteria monstre. Altro vertice è Rodeo In Juliet, dove la chitarra naviga più espressiva del solito e la sezione ritmica si limita all’accompagnamento, quasi jazzata, reca comunque spasimi da brivido. Negli svolazzi chitarristici Denison si dimostra degno erede di Andy Hawkins. Karpis è costruito intorno ad una reiterazione di chitarra che giunge a lambire il barocco, mentre Monkey Trick è fatta di note discendenti. South Mouth è un blues nel quale il fracasso infernale paga il fio ai cambi di tempo e alla chitarra atmosferica. E’ anche il brano post-rock del disco.


Liar (1992) sembra voler smorzare i toni, accondiscendendo a partiture più terrestri, ma di contro, rinfocola tanto la sezione ritmica tellurica, quanto l’urlo sgolato del canto. L’astrazione di Goat sembra quasi un ricordo. Gladiator e Boilermaker, ormai in clima trash, si contrappongono al cadenzato di Slave Ship. Puss vede la band indulgere verso la struttura del rock più classico (Rolling Stones in primis), laddove Dancing Naked Ladies potrebbe avvicinarsi alla forma canzone dell’hard-rock con strali però evidenti del post-rock dei Don Caballero. Rope potrebbe persino gettare un ponte fra il loro hardcore e quello alt-country dei texani Ed Hall. In Perk si assiste alla prima performance di canto regolare,


DISCOGRAFIA


Pure (1989) *** ½


Head (1990) ****


Goat (1991) **** ½


Liar (1992) ***



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